I Briganti

Michele Mamino detto Meclinét è entrato a fare parte della leggenda popolare. Non si capisce perché questo brigante, rozzo, ignorante, spavaldo e ternerario, sia diventato una specie di eroe. Le notizie sicure confermate da documenti sono piuttosto scarse. Si sa che nel 1792 risultava già condannato a 7 anni di galera per vari misfatti. Doveva avere in quel tempo almeno 20-25 anni. La sua attività si svolse in quel torbido periodo in cui le truppe francesi invadevano il basso Piemonte. Inoltre già prima aveva operato in una zona particolarmente favorevole: la vicinanza del confine con la Repubblica di Genova permetteva il facile sconfinamento in territorio sicuro, sfuggendo ad ogni cattura. La sua audacia e temerarietà si erano fatte più minacciose durante i primi anni della dominazione francese. Nel 1802 il Sottoprefetto di Mondovì emanava un proclama con cui si minacciavano le più severe pene per chiunque avesse aiutato questo brigante e si comminava una ammenda di mille franchi alle frazioni della Seccata e Fontane per aver dato ospitalità ai « malfattori Mamino detto Michelinet e Sachagino detto Dragone ». Questi denari, secondo il Sottoprefetto, dovevano servire per catturare i briganti e come taglia di 500 franchi per chi avesse reso possibile il loro arresto. Il proclama terminava con queste minacciose parole: « Li perturbatori e gli scellerati non potranno a lungo schermirsi da questa mano indomita la quale atterra i mostri della società. Questa misura di rigore verrà adottata verso tutte le Comuni, le quali per una vile negligenza sopporteranno pazientemente l’audacia di questi briganti ». I gendarmi e le forze armate, anche con la promessa di un premio molto alto prelevato da quella povera gente (chissà come avranno fatto a pagare tanto denaro date le loro condizioni di estrema povertà!) non riuscirono a prendere il brigante Meclinèt ed il suo socio; infatti in una relazione del Prefetto del Dipartimento della Stura, Arborio, in data 26 luglio 1804 si legge che il brigante Michele Mamino continuava ad agire nel Monregalese, nonostante tutti gli sforzi per catturarlo e le misure eccezionali per assicurarlo alla giustizia. Pochi giorni dopo il Prefetto Arborio comunicava che Mamino era stato ucciso dai suoi cugini Bartolomeo e Giuseppe Unia di Roccaforte e che erano stati concessi 2400 franchi ai suoi uccisori come premio straordinario. Fin qui la storia ufficiale; ora entriamo nella leggenda, che per quanto si riferisce alla sua morte, si avvicina molto alla realtà. Michele Mamino sarebbe nato a Fontane in una casa che si trovava in basso sulle rive del Corsaglia nella località detta Scarrone. Era una misera casa che andò distrutta dal fuoco in un tentativo di cattura. Si trasferì alla Seccata ed abitò la casa che ancora esiste (dove c’è un negozietto dove si vende tutto e niente). Sul muro posteriore di questa casa si vedono ancora i segni delle palle di fucile. Si dice che sia stato sorpreso dai gendarmi durante il sonno; ma con la sua straordinaria agilità riuscì a fuggire attraverso i tetti mentre i gendarmi lo prendevan di mira con i loro fuciloni. Non essendo riusciti a catturarlo fecero prigioniera la vecchia madre, ma il brigante li aspettò, nascosto dietro una roccia, uccise due gendarmi costringendo gli altri a darsi alla fuga ed a liberare la donna. La leggenda di Meclinét è tutto un susseguirsi di omertà, spiate, vendette. Mentre era molto generoso verso chi lo aiutava e mai rubò alla povera gente, altrettanto era spietato verso coloro che tentavano di tradirlo; li uccideva senza pietà. La sua zona d’azione era il tratto di montagne fra Fontane e Miroglio. Si racconta che un giovane di Miroglio, bramoso di prendere la taglia, comperò un fucile e si mise alla caccia del brigante per ucciderlo. Questi lo venne a sapere e avvisò la madre pretendendo 50 lire di indenizzo. La donna disse che era tutto quanto possedeva e che non poteva pagare; allora Meclinét uccise il giovane per date una lezione alla madre e a tutti quanti volevano tradirlo. Si racconta delle beffe che faceva agli stessi gendarmi. Arrivarono da Torino 40 gendarmi al comando di un maresciallo con l’incarico di catturare il brigante. A Frabosa Soprana presero alloggio alla locanda della Fontana. Giunse qui Meclinét, che naturalmente non era ancora conosciuto; entrò nella locanda e fece subito conoscenza con il maresciallo che gli offrì da bere e intanto gli chiedeva molte informazioni sul brigante. Egli rispondeva che era un tipo come lui. E si fermò anche a pranzare in compagnia dei gendarmi. Alla fìne del pranzo chiese al maresciallo: « è contento di aver mangiato insieme a Meclinét? » e si aprì la camicia facendo vedere la corazza di ottone che ricopriva e difendeva il petto. Approfittando della sorpresa fuggì indisturbato. Furono dei suoi parenti ad ucciderlo. Era uso andare a mangiare allo Scarrone sopra Miroglio e questi suoi cari parenti gli avvelenarono il vino; egli se ne accorse, ma ormai era troppo tardi e fu barbaramente ucciso. Poi presero il corpo e lo trascinarono oltre il Maudagna lasciandolo in un bosco che si trova sopra la borgata Friosa. Andarono poi ad avvisare i gendarmi raccontando che lo avevano ucciso in un conflitto a fuoco. Nel posto in cui fu deposto il cadavere una mano pietosa ha messo un sasso con incisa una croce. (esiste ancora). Il cadavere fu poi portato a Miroglio nella cappella di S. Antonio (si trovava lungo la via principale all’inizio dei paese). Tutti andarono a vedere il cadavere e vi andarono anche i due traditori, ma improvvisamente il sangue sgorgò dai fori delle pallottole e tutti fuggirono terrorizzati. Michele Mamino fu provvisoriamente seppellito nel cimitero di Frabosa Sottana nella tomba della famiglia Tassone. La leggenda dice che quando fu riesumata parecchi anni dopo, la salma era ancora intatta. Ma non è vero. La tomba fu acquistata dalla famiglia Ponzo di Frabosa Sottana e quando verso il 1850 si raccolsero tutti i resti per depositarli nell’ossario, non si trovarono che ossa. Si racconta ancora che a Cuneo nella casa di un avvocato era custodito il tavolino su cui fu pagata la taglia. La tradizione aggiunge ancora che gli uccisori di Michele Mamino furono poi arrestati per aver detto il falso, cioè che non era vero che avevano ucciso il brigante in un conflitto; ma forse la causa fu per riprendere i denari della taglia che era stata troppo alta: ben duemilaseicento franchi.